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Il razzismo capitalistico e l'ondata di proteste negli USA

  • andreamarconia
  • 18 giu 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Il 25 maggio, un cittadino afroamericano di nome George Floyd è stato ucciso durante un brutale arresto eseguito da agenti della polizia a Minneapolis, Minnesota (USA).

Questo ennesimo atto di violenza da parte della polizia ai danni di una persona di colore ha

innescato un'ondata di proteste in molti centri del territorio statunitense. È emerso infatti

drammaticamente alla luce del sole come il problema del razzismo continui ad attraversare ed

infettare il tessuto sociale di quello che è ancora il più potente imperialismo al mondo, di una delle democrazie più grandi e antiche. Ma quello che sentiamo di dover affermare a chiare lettere è che questo è un razzismo pienamente inserito in una società capitalistica, un razzismo che affonda le sue immonde radici nelle logiche del capitalismo, è un razzismo capitalistico. Perché – come anche i dati sulle vittime del coronavirus in terra americana hanno confermato – è in determinate minoranze etniche che si concentra una grave condizione di vulnerabilità sociale, di cui il rischio concreto di subire prevaricazioni e abusi da parte delle forze di polizia è parte integrante. Perché il razzismo si conferma – terribile costante della storia statunitense e non solo – una formidabile risorsa per dividere le classi subalterne, per stratificarle e frazionarle al loro interno, per generare e rafforzare percezioni identitarie che si risolvono in una efficacissima arma della classe dominante per indebolire la capacità di lotta e reazione del proletariato, per instillare nei vinti del sogno americano l'illusione che sia possibile un'autentica rivalsa sociale ai danni di altre etnie, che sia possibile un autentico riscatto senza coscienza di classe. Dietro la semplificazione della questione razziale si agita, non da oggi, un complesso intreccio storico di contraddizioni capitalistiche e di oppressione sociale che ha il suo perno nella divisione in classi e nello sfruttamento della società capitalistica. Il consolidamento – altro dato storico ormai acquisito – di una borghesia nera o espressa da altre minoranze, in grado di rivestire ormai ruoli importanti anche nell'assetto politico dell'imperialismo americano, non ha portato al superamento di questo razzismo capitalistico. Le proteste hanno manifestato una capacità di reazione presente nelle classi subalterne del capitalismo statunitense, in

grado di sprigionarsi di fronte a casi clamorosi e ferocemente emblematici di discriminazione. Un risveglio di uomini, spesso “invisibili”, ma indispensabili per produrre la ricchezza, per sostenere il sistema produttivo e la quotidiana vita sociale. Ma c'è altro. Le elezioni presidenziali ormai incombono sempre più. Da un lato, l'Amministrazione Trump ha fatto spregiudicatamente ricorso alla tecnica della polarizzazione politica, cercando di occultare sistematicamente le cause sociali della conflittualità che ha scosso molte città con la vecchia narrazione del nemico “interno”, della minaccia “sovversiva” creatrice di disordine e distruzione, contro la quale l'America “per bene” deve fare quadrato e riconoscersi nella linea dura del suo presidente. Dall'altro, una molteplicità di soggetti politici borghesi, rivali delle altre frazioni borghesi rappresentate dall'inquilino della Casa Bianca, si è mobilitata per utilizzare e indirizzare la protesta.

Da parte nostra, dobbiamo essere estremamente chiari: una vera risposta al razzismo capitalistico non può risolversi nell'orizzonte di una più democratica integrazione nel sistema di sfruttamento del capitalismo, in una promozione nella società borghese, in un più pieno coinvolgimento nel suo universo di valori. Le forze genuinamente proletarie presenti nella protesta, insieme a infidi alleati e falsi amici, hanno di fronte al sé il compito di chiarire a se stesse sempre più la natura di classe della propria oppressione, la natura di classe del nemico e dell'azione che può intaccarne il potere e contrastarne alla radice le pratiche repressive. Solo così si potranno dispiegare le energie emancipatrici racchiuse nella parte migliore della società americana, nelle sue masse proletarie capaci di misurarsi con il compito della maturazione di una coerente coscienza di classe. Questo risveglio può e deve tramutarsi in coscienza sociale, in coscienza delle profonde contraddizioni oggi esistenti in tutto il mondo e delle cause profonde che le determinano (il profitto, la rendita, il dio denaro). Coscienza della necessità di schierarsi DALLA NOSTRA PARTE e della possibilità oggi concreta in tutto il mondo di lottare per una società migliore, più giusta, sulle cui bandiere si possa scrivere “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” (Karl Marx)

La redazione del bollettino Dalla nostra parte

 
 
 

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