Il Venezuela
- Mauro Bairovith
- 9 mag 2019
- Tempo di lettura: 19 min

Sulle prime pagine dei giornali da mesi primeggia la questione venezuelana. Come sempre la borghesia la fa apparire come una lotta tra la democrazia e la dittatura. Ci sono i buoni democratici e i cattivi dittatori.
Per nascondere invece il reale scontro tra il proletariato e la borghesia.
Basta scavare appena un po’ e scopriamo che da una parte stanno gli americani, dall’altra i russi, entrambe le potenze in buona compagnia di altri imperialismi, tutti affamati di impadronirsi delle ricchezze del Venezuela.
I comunisti vanno a fondo delle questioni e leggono il movimento del presente nella storia. Il proletariato non deve divenire strumento di una parte contro l’altra ma deve muoversi autonomamente per difendere le conquiste ottenute, per tutelare i propri interessi contro tutte le frazioni borghesi il cui unico obiettivo è sfruttare sempre meglio la forza lavoro per trarne un profitto sempre maggiore.
Per questo abbiamo brevemente tratteggiato la storia del Venezuela, del Sud America per capire cosa sta succedendo ora.
Anche in sud America c’è stato e c’è il sogno di un mondo migliore, che veda i proletari uniti contro tutti gli imperialismi. Grandi uomini hanno tentato l’assalto al cielo, con le forze che avevano, con i limiti che avevano. Hanno guidato i popoli schiacciati dal brutale dominio dello sfruttamento per ottenere condizioni di vita migliori. Dobbiamo essere accanto a loro nella loro lotta e l’unico modo per esserlo è quello di fare chiarezza e cacciare le tenebre dell’ideologia che nasconde la realtà dietro una coperta fumogena di bugie e falsità.
Alla fine del ‘400 in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo, Spagna e Portogallo si contendevano le aree di influenza. Per evitare una guerra, i rispettivi sovrani decisero di ricorrere all’arbitrato del pontefice. Il papa Alessandro VI Borgia, [1] tracciò una linea di demarcazione lungo il meridiano passante 100 leghe ad ovest dell'isola di Capo Verde. Il meridiano - la Raya (linea) Apostolica[2] - divideva il mondo con una linea verticale dal Polo Nord al Polo Sud, che attraversava l'oceano Atlantico e passava sul confine dell’attuale Brasile. I territori ad est della linea andavano al Portogallo. La Spagna che, da Colombo in poi, aveva colonizzato tutta l’America latina, tranne il Brasile, poteva continuare ad espandersi nelle Americhe. La lontananza delle colonie dalla Spagna - occorrevano due mesi di navigazione per andare dall’una all’altra – rendeva difficoltoso il controllo, nonostante fossero stati istituiti dei Vicereami. [3] Molti furono i tentativi di ribellione e diverse le insurrezioni, finché tutta l’America latina nell’800 esplose. Nel 1808, dopo l’invasione francese della Spagna, il grande impero coloniale spagnolo si sgretolò rapidamente. La conquista napoleonica della Spagna aveva spezzato infatti i legami tra la madrepatria e le colonie, accelerando il processo di distacco delle colonie, desiderose di conquistare la loro autonomia.
Si costituirono le prime giunte di autogoverno che inizialmente giurarono fedeltà all’erede legittimo Ferdinando VII di Borbone, scacciato in seguito da Giuseppe Bonaparte. Con il passare del tempo, però, l’impraticabilità di un rapporto con la madrepatria, che si trovava nell’impossibilità di inviare truppe nel Nuovo Mondo, lasciò sempre più ampi spazi alle giunte locali che si sentirono, di fatto, libere dal vincolo di obbedienza alla corona.
[1] Alessandro fu padre - era il periodo del nepotismo e i papi avevano tutti i figli - dei più famosi Lucrezia e Cesare. Il figlio, il famoso Cesare Borgia, fu esaltato da Machiavelli come il possibile unificatore dell’Italia; la figlia, Lucrezia, passò alla storia come avvelenatrice, anche se in realtà fece molto in difesa dei suoi contadini
[2] I viaggi di Cristoforo Colombo avevano avuto lo scopo di aprire una rotta più breve per le Indie, terra delle spezie e di tante altre ricchezze. Quindi, al ritorno di Colombo dal suo primo viaggio, la Spagna si affrettò a ottenere dal papa Alessandro VI il riconoscimento dei propri diritti su tutte le terre d’Occidente, cosa che avvenne con le Bolle Inter caetera del 3 e 4 maggio 1493. Questo riconoscimento, però, provocò la pronta reazione del Portogallo, che si vedeva preclusi i mari d’Occidente e minacciò di ostacolare la navigazione spagnola sulle proprie acque. Pertanto, il 7 giugno 1494 i re di Spagna, Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia, e il re del Portogallo, Giovanni II, firmarono il Trattato di Tordesillas, che regolava le rispettive sfere di espansione.
[3] Il Vicereame della Nuova Spagna (1535-1821), fu il primo vicereame spagnolo ad essere istituito e anche il più esteso (oltre cinque milioni e centocinquantamila chilometri quadrati al momento della sua dissoluzione). Esso occupava tutta la metà centro-occidentale degli attuali Stati Uniti, Messico e gran parte dell'America Centrale, Cuba e le Filippine. Il viceré concentrava su di sé tutto il potere politico e militare. Veniva nominato dal re di Spagna, aveva una sua piccola corte. Dal lui dipendeva tutta la struttura del governo: alcaldes mayores, corregidores, consiglieri locali, ayuntamientos e capi indiani. Corruzione e malaffare via via dilagarono creando élite e lobby di potere sempre più potenti e decisive nel controllo degli affari della colonia.

L’indipendenza delle colonie non comportò alcun miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e non ci fu alcun tentativo di sanare gli enormi squilibri sociali ereditati dall’età coloniale. Col passare degli anni il movimento indipendentista sudamericano acquistò una caratterizzazione spiccatamente militare. I Libertadores, i Liberatori, tra cui vanno annoverati Simón Bolívar e José Gervasio Artigas riuscirono a liberare il Sudamerica dal giogo spagnolo. Fallì invece il loro tentativo di unificare in un solo stato tutto il sud America.
Il progetto di Simón Bolívar [1] di creare uno Stato unico, alternò sconfitte e vittorie. Andò anche in Europa dove incontrò Napoleone, rimanendone deluso nello scoprire che aveva tradito gli ideali rivoluzionari. Cercò anche l’appoggio dell’Inghilterra che glielo diede in funzione antispagnola. Riuscì a liberare militarmente e confederare una parte degli stati che conosciamo adesso: Perù, Equador, Bolivia, Colombia e una parte dell’Argentina.
Nel 1825 il progetto d'indipendenza del Sudamerica dalla Spagna, a cui Bolívar aveva dedicato la sua intera vita, fu finalmente completato. Egli immaginava una confederazione di stati sul tipo di quella degli Stati Uniti ma più centralista, come in Francia, per favorire la stabilità e l’identità di cui il neonato paese aveva bisogno.
Fu anche un fervente sostenitore della lotta alla schiavitù che riuscì ad abolire il 16 giugno 1816.[2]
Anche l’uruguaiano José Gervasio Artigas (1764-1850) partecipò alla realizzazione di questo progetto di liberazione nazionale, combattendo nella Guerra d'Indipendenza delle Province Unite del Río de la Plata (1810).
Bolívar e Artigas sono ancora adesso considerati degli eroi in tutta l'America Latina. Eroi perdenti. Bolívar, in seguito alla fine della sua esperienza politica, affermò di "aver arato il mare", deluso per come il suo sogno unitario era evoluto. Si ritirò perché malato, morendo nel 1830.
Artigas, dopo aver proclamato, nel 1813, l'indipendenza delle Provincias Unidas, attaccato successivamente dai Brasiliani, dagli Argentini e dagli Spagnoli, fu sconfitto al Paso del Catalán (1817) e fu costretto nel 1820 a riparare nel Paraguay, dove rimase fino alla sua morte (1850)
Il progetto di Chávez [3], riprende il Bolívarismo e la tendenza all'unità dell'America Latina. Per tentare di emancipare l’America latina dall’imperialismo USA e per superare la fatidica dottrina “Monroe”[4], fondò la CELAC[5] , l’Organizzazione Internazionale dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi.
Nel 1989 in Venezuela scoppiò una protesta popolare contro il caro-vita. L'esercito, ebbe l’ordine di sparare sulla folla, e massacrò migliaia di oppositori: Chávez e alcuni suoi colleghi bolívariani si rifiutarono di eseguire quegli ordini.
Nel febbraio del 1992, Chávez fu a capo di un colpo di Stato da parte delle forze militari che tentò di rovesciare il legittimo presidente Carlos Andrés Pérez, ritenuto corrotto e filo-statunitense. Il golpe fallì e Chávez fu arrestato e imprigionato. In carcere lesse i classici del marxismo e si convinse che bisognava impostare la rivoluzione Bolívariana in senso socialista. Si doveva pagare il debito sociale, cioè pagare alla popolazione quello che di cui la popolazione era sempre stata priva: servizi sociali adeguati, scuola, sanità, assistenza agli anziani, alimentazione. Questo era possibile solo utilizzando la rendita petrolifera.
Nei primi anni 2000 il prezzo a barile del petrolio era di 100 dollari. Con questi prezzi il Venezuela poteva realizzare questo progetto politico. E così fu; una parte di questa rendita venne devoluta a quelli che Chávez definiva i “servizi sociali”. Tutto il mondo riconosce che le condizioni dell'infanzia, della maternità, della sanità e della scuola migliorano in quegli anni.
Il contraltare di questa politica fu che tutta la tecnocrazia venezuelana, accademici, ingegneri, medici venne messa in secondo piano. Mentre prima questi strati sociali venivano corrotti attraverso meccanismi di gestione del potere, adesso si fa il contrario. La conseguenza fu la fuga di questo strato intermedio tecnocratico intellettuale verso altri paesi del Sudamerica, espatriavano per andare a prendersi gli stipendi cui credevano di aver diritto. Mancando quindi queste professionalità in Venezuela, Chávez fu costretto ad importarle da Cuba. Tutta la sua politica si reggeva sulla rendita petrolifera.
Si parla genericamente di rendita petrolifera senza distinguere l'investimento nel settore estrattivista dalla rendita vera e propria.
In realtà la rendita si divide in rendita differenziale[6] di tipo 1[7], rendita differenziale di tipo 2[8], rendita assoluta[9] e rendita di monopolio[10] (e poi c'è il profitto dell'investimento minerario).
La rendita[11] è una parte di quel profitto. Analiticamente è molto difficile distinguere quanta parte è rendita e quanta parte è profitto, rispetto alle nazionalizzazioni o alle semi nazionalizzazioni.
Una parte dell’estrattivismo venezuelano ricade sempre sotto il controllo di società straniere in quanto la raffinazione, il trasporto e il trattamento del prodotto è per lo più affidata a loro.
Nella teoria marxista si distingue:
la riproduzione semplice (il capitale costante e quello variabile, che formano il capitale totale anticipato, restano gli stessi in tutti i cicli e il plusvalore viene consumato dai capitalisti mentre gli operai spendono il capitale variabile)
la riproduzione allargata (parte del plusvalore si sottrae al consumo del capitalista e va a comprare nuovi mezzi capitali).
L'imprenditore agricolo investe nella terra ma la terra non è sua, deve pagare l'affitto. Se il profitto medio di sistema è il 15%, il capitalista agricolo che possiede una terra più fertile riesce a guadagnare il 20%. Quel 5% di cui si dovrebbe appropriare, lo deve pagare al proprietario terriero. Questa è la rendita.
La rendita petrolifera è la stessa cosa. Normalmente si confonde, non soltanto perché non si hanno le idee chiare ma perché si vuole confondere, cercando di far passare come produttivo tutto il capitale, cosa che invece non è. La parte che produce valore è soltanto quella del lavoro vivo, quella che impiega il proletariato, la parte definita come plus lavoro e quindi come sfruttamento. È solo quella parte di capitale investito che produce valore, tutto il resto è capitale morto, impiegato nel ciclo produttivo.
[6] 1783-1830. Generale, patriota e rivoluzionario venezuelano; fu insignito del titolo onorifico di Libertador in ragione del suo decisivo contributo all'indipendenza di Bolivia, Colombia, Ecuador, Panama, Perù e Venezuela. Fu Presidente delle repubbliche di Colombia, Venezuela, Bolivia e Perù
[7] Negli Usa la guerra di secessione finì nel 1865 ma fino al 1964 con Lyndon Johnson esisteva ancora la discriminazione razziale. Solo con il Civil Rights Act of 1964, fu dichiarata illegale la segregazione razziale, garantendo – sulla carta - agli afroamericani la possibilità di esercitare il loro diritto di voto.
[8] Hugo Rafael Chávez Frías fu politico e militare venezuelano. Fu presidente del Venezuela dal 1999 fino alla sua morte, tranne durante la breve parentesi del colpo di Stato scoppiato nel Paese nel 2002. Egli ripresentò il progetto di federazione di stati e di emancipazione dall’egemonia americana.
[9] Nel 1823 l’allora Presidente degli Stati Uniti, James Monroe, formulò la “dottrina” che rimase poi famosa come “l’America agli Americani”, avvertendo le potenze europee di astenersi da qualsiasi ingerenza. L’impianto della dottrina, che era sostanzialmente difensivo, mutò nel 1904 quando, con il cosiddetto “corollario Roosevelt”, Washington rivendicò una sorta di “diritto di intervento” nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani. Da allora, in pratica, l’America Latina divenne il “cortile di casa” degli Stati Uniti, che spesso – soprattutto durante la Guerra Fredda per scongiurare la diffusione di regimi filosovietici nel continente – sono intervenuti attraverso la CIA per sostenere regimi “amici” anche se per nulla democratici.
[10] Nata nel 2011, la Celac rappresenta 600 milioni di persone e che non vede la presenza di Stati Uniti e Canada
[11] La rendita differenziale è collegata al diverso grado di fertilità dei terreni: i terreni più fertili, producono di più e quindi il proprietario può chiedere una rendita maggiore. Questa rendita in quanto differenziale aumenta in relazione alla messa a coltura di terreni meno fertili, cioè più si coltivano terreni poco fertili, più aumenta la rendita del proprietario di quelli fertili
[12] Rendita differenziale estensiva: si ipotizza che siano coltivate soltanto le terre con una rendita nulla o positiva. La produzione complessiva è determinata dall'ultima terra marginale, quella con rendita nulla. Non essendoci una rendita, i proprietari non avrebbero alcun interesse a fare coltivare la terra da un capitalista.
[13] Rendita differenziale intensiva: tutte le terre sono coltivate e non ci sono appezzamenti liberi. In questo caso, l'unico modo per aumentare la produzione agricola è aumentare la quantità di lavoro impiegata sulla terra (intensificazione del lavoro).
[14] Rendita assoluta: ciò che si paga con riferimento alla pura scarsità del bene, cioè se il bene è disponibile in quantità illimitata non si paga rendita. Viceversa, più il bene è scarso e più la rendita assoluta aumenta
[15] Rendita di monopolio: forma di mercato, dove un unico venditore offre un prodotto o un servizio per il quale non esistono sostituti stretti (monopolio naturale) oppure opera in ambito protetto (monopolio legale, protetto da barriere giuridiche)
[16] Rendita è il reddito che percepisce il proprietario di una risorsa naturale (utile, accessibile e limitato)

In Bolivia si vede bene questa distinzione tra rendita e profitto, perché la Bolivia è il più grande produttore di litio.
Evo Morales[1] ha dato alle compagnie straniere per l'estrazione del litio, quello che volevano di profitto, cioè la media mondiale, ma il resto, la rendita è rimasta tutta alla Bolivia. È stata possibile in questo caso una netta separazione tra rendita e profitto perché la gestione dell’investimento non era boliviano.
In Venezuela la situazione è più confusa, in generale è sempre più confusa. Capire quanta parte della rendita effettivamente rimane effettivamente allo stato (i cosiddetti stati rentier, stati in cui un’ampia parte del reddito-profitto generato prende la forma di reddito da proprietà, vedi l’Arabia Saudita) e quanta parte che dovrebbe essere trattenuta, viene invece impiegata per incrementare i profitti degli investitori, è quasi impossibile.
La Nigeria ha il petrolio, teoricamente è proprietaria della terra. L’ENI estrae il petrolio, lo vende e prende il profitto del suo investimento, il profitto medio. Ma l’ENI non lascia allo stato tutto il resto del prezzo. Questo sarebbe il meccanismo puro, in realtà l’ENI prende tutto il profitto, più il 70% della rendita., lasciando il 30% della rendita alla cricca di burocrati statali militari che comunque riesce ad arricchirsi e che tiene sotto il tallone di ferro tutta la popolazione nigeriana.
Questa politica ha funzionato (con le nazionalizzazioni dei pozzi) finché ha tenuto il prezzo internazionale del petrolio[2] .
Quando poi sono intervenuti fattori politici e il prezzo del petrolio è crollato, al Venezuela non è stato più possibile fare una politica sociale di assistenzialismo.
Anche con Chávez non sono state superate le strutture istituzionali della repubblica parlamentare rappresentativa, proprie della democrazia borghese, anche se si è cercato di attuare il controllo popolare delle cariche (le cariche, anche la più alta, quella della presidenza, era revocabile a dopo 2 - 4 anni tramite referendum).
La struttura fondamentale del potere politico non era variata. L’élite dirigente apparteneva al ceto militare, come nel resto dell’America latina dove, da sempre, le cricche militari hanno saccheggiato tutto quello che potevano.
E’ stata stimolata ancora una volta la delega perché non si crearono dei consigli popolari - che comunque non potevano essere istituiti dall’alto - ma solo dei collettivi, i colectivos.
Il massimo della partecipazione furono i tupamaros[3], ma anche loro non riuscirono ad esprimere un vero potere alternativo.
Il movimento messicano è stato l’unico caso in America di movimento sociale relativamente autonomo, l'unica rivoluzione con delle caratteristiche di autonomia dal basso; tutte le altre rivoluzioni nazionali, anche se hanno avuto l’appoggio di una parte della popolazione, sono sempre state rivoluzioni di consorterie militari. Non è un caso che John Reed scriva “Messico in fiamme” e che Trotskij vada in Messico.
Quando la rendita petrolifera crollò, si cercò comunque di sostenere la spesa aumentando il debito. I collettivi, si trasformarono in bande che taglieggiavano chiunque, esattamente come al tempo dei Conquistadores.
Con Chávez questo fenomeno era in parte tenuto sotto controllo, in parte coperto.
Poiché la via bolivarista al socialismo si basava sull’assistenzialismo e non sul controllo dei consigli, si creò un consistente strato di burocrati, nelle cui mani rimaneva una gran parte della rendita e buona parte delle valute che avrebbero dovuto circolare.
Lo sforzo di Chávez, il suo progetto di cambiamento, pur con tutte le buone intenzioni (si era fatto la galera per non aver obbedito all’ordine di sparare contro chi manifestava per il caro vita) era sostenuto dal prezzo del petrolio. Non ci fu un superamento della forma politica, quella che noi chiamiamo con frase storica, “la forma politica finalmente scoperta”, nella quale si compie l’emancipazione economica del lavoro.
Se si risolvono i problemi della popolazione con l’assistenzialismo non si stimola la partecipazione.
Un tentativo di Chávez per accogliere le istanze popolari fu quello di istituire una trasmissione televisiva “Alò presidente”, dove per 3 ore rispondeva alle domande dei cittadini, che chiamavano in studio. A partire dal 1999, Chávez trascorse in media 40 ore alla settimana in televisione. Il formato dello spettacolo cambiò nel tempo. All'inizio, era principalmente uno spettacolo in cui i venezuelani esprimevano rimostranze e discutevano con Chávez. Col passare del tempo, sempre meno tempo venne dedicato alle interrogazioni delle "persone normali" sostituiti dalla presentazione dei programmi di Chávez
In sostanza le forme politiche in Venezuela quindi sono state quelle della democrazia repubblicana borghese, viziate oltretutto dalla preponderanza della burocrazia militare.
E’ molto probabile che la presenza di gruppi di potere e di interesse porti prima o poi alla “normalizzazione” borghese”, ma deve essere chiaro che il chavismo, resta una forma di sviluppo capitalistico che in Venezuela ha assunto la particolarità di un forte processo di nazionalizzazione per il controllo delle rendita petrolifera con la quale ha cercato di portate avanti un discorso sociale, che non può in ogni caso essere contrabbandato con il socialismo (sarebbe come definire socialista la Russia del 1950 con Stalin). Con Chávez tutto era “socialista”, ma in realtà solo a parole.
A fine 2011, Hugo Chávez informando il popolo delle sue condizioni di salute, lo invitò a votare per Maduro. Chávez muore il 5 marzo del 2013. Nicolás Maduro diventò presidente del Venezuela ad interim, annunciando nel contempo la sua candidatura alle elezioni. Vinse, sconfiggendo Henrique Capriles Radonski, che tuttavia ne contestò la validità.
Il 24 febbraio 2016, tramite decreto presidenziale, Nicolás Maduro ha deciso la creazione di una nuova Area di sviluppo strategico Nazionale, l’“Arco minerario dell’Orinoco”, un progetto minerario che va verso la devastazione dell'ambiente aprendo circa 112.000 km2, il 12% del territorio nazionale, alla grande estrazione mineraria per l’esportazione di oro, diamanti, coltan, ferro e altri minerali[4]. Questo ulteriore sfruttamento minerario può certamente ottenere introiti monetari a breve termine, ma in cambio dell’irreversibile distruzione ambientale e sociale di parte significativa del territorio nazionale e dell’etnocidio dei popoli indigeni che abitano nella zona.
[15] Boliviano, primo presidente indigeno soprannominato anche el Indio. Leader del movimento sindacale dei cocalero boliviani, una federazione di colonizzatori campesinos, quechua e aymara. Fondatore e leader del partito politico boliviano Movimiento al Socialismo (MAS)
[16] Il prezzo internazionale del petrolio si confronta con il prezzo più alto di estrazione: il prezzo internazionale del carbone che è ancora più alto di quello del petrolio estratto nel Mare del Nord
[17]Organizzazioni di guerriglia urbana di ispirazione marxista-leninista, attive tra gli anni sessanta e gli anni settanta, svincolate dal partito, dal PSUV -Partido Socialista Unido de Venezuela
[18] Il minerale da esplorare su cui il Presidente ha maggiormente posto l’accento è stato l’oro. Si stima che le riserve aurifere della zona sarebbero di 7.000 tonnellate, che agli attuali prezzi correnti equivarrebbero a circa 280 miliardi di dollari. Non esiste tecnologia mineraria su larga scala che sia compatibile con la salvaguardia ambientale. Le esperienze internazionali in tal senso sono inequivocabili. In regioni boschive, come buona parte del territorio dell’Arco minerario, la miniera su grande scala, a cielo aperto, produrrebbe inevitabilmente massicci e irreversibili processi di deforestazione. Ne verrebbe colpita gravemente la ricca biodiversità di quell’area, generando la perdita di numerose specie. Le foreste amazzoniche costituiscono una risorsa difensiva contro il surriscaldamento globale che colpisce il pianeta. La deforestazione di queste aree implica al tempo stesso l’incremento dell’emanazione di gas a effetto serra e la riduzione della capacità delle foreste di assorbire/trattenere i suddetti gas, accelerando così il surriscaldamento globale. Per questo le conseguenze di simili comportamenti vanno ben oltre il territorio nazionale. La zona del territorio venezuelano a sud dell’Orinoco costituisce la maggiore fonte di acqua dolce del paese. I processi di deforestazione prevedibili con l’attività mineraria su grande scala condurrebbero inevitabilmente alla riduzione di queste ricchezze. Uno dei fenomeni di maggiore impatto sulla vita degli abitanti del territorio venezuelano negli ultimi anni è stato quello delle continue crisi elettriche, in parte dovute alla riduzione delle risorse del Caroní, il fiume le cui centrali idroelettriche producono il 70% dell’elettricità consumata dal Venezuela. Oltre alle alterazioni dovute al cambiamento climatico, l’estrazione mineraria su grande scala nel territorio dell’Arco minerario dell’Orinoco contribuirebbe direttamente a ridurre le capacità di produzione energetica delle centrali elettriche. In primo luogo, per la riduzione della portata delle acque in seguito a tale attività; ma anche perché l’attività mineraria nella parte superiore del fiume, restringendo lo strato vegetale delle zone circostanti, incrementerebbe i processi di sedimentazione, logorando progressivamente la capacità di immagazzinamento e la vita utile delle centrali. Tutte le centrali idroelettriche di questo sistema del basso Caroní rientrano nei confini che sono stati tracciati come parte dell’Arco minerario dell’Orinoco. (Sintesi di un articolo di Edgardo Lander comparso a luglio 2016 su Aporrea (http://www.aporrea.org/). Lander è sociologo venezuelano e intellettuale di sinistra. Professore emerito dell'Università Centrale del Venezuela e membro del Transnational Institute, autore di numerosi libri e articoli di ricerca sulla teoria della democrazia, sui limiti dell'industrializzazione e della crescita economica e sui movimenti di sinistra in America Latina.

Un progetto che è l’esatto contrario della costituzione che il bolivarismo aveva redatto nel ‘99 perché nega i diritti delle popolazioni native che prima erano tutelate. È prevista la partecipazione di imprese private, statali ma anche società straniere, multinazionali che continueranno il saccheggio delle risorse venezuelane. Inoltre stabilisce esplicitamente la sospensione dei diritti civili e politici nell’intero territorio dell’Arco minerario. <<Articolo 25 – Nessun interesse individuale, di categoria, sindacale, di associazioni o gruppi, o loro normative, prevarranno sull’interesse generale al raggiungimento dell’obiettivo contenuto nel presente decreto>>.
Perché il prezzo del petrolio è calato? La causa va ricercata in Medio Oriente, dove l’Isis si è impadronita dei pozzi e ha svenduto il petrolio a meno di 20 dollari al barile, - e ne hanno messi in circolazione milioni di barili. Tutti hanno commerciato con l’Isis, la Turchia ma anche gli Usa sottobanco.
Oltre alla fuga dei cervelli, dei tecnocrati, ingegneri, medici e strati intermedi di professionisti la politica di Chávez ha determinato anche praticamente la morte dell’industria manifatturiera nazionale. La produzione alimentare manifatturiera non si è più sviluppata. Non rendeva più investire se si poteva comprare a prezzi inferiori di quelli dei prodotti nazionali da altri paesi (Argentina e Perù). Le fabbriche sono andate in perdita ma lo stato pagava lo stesso i salari degli operai, grazie alla rendita petrolifera (come l’Alfa sud negli anni ‘70 quando ogni Giulietta che usciva comportava una perdita di 300.000 lire, ripianata dallo stato).
Così da una situazione di quasi autosufficienza alimentare il Venezuela è passato a dovere importare tutto. Il Mercosur (mercato comune dell'America meridionale) serviva anche a questo. L’unica produzione nazionali era il petrolio (93% del pil).
Considerazioni
Lenin fu il primo che mise in discussione il potere delle sette sorelle trattando con i vari paesi produttori. Pagando un prezzo più alto di quello degli altri paesi ottenne le concessioni e Mattei che aveva tentato la stessa manovra fu assassinato.
Dove ci sono paesi con ricchezze naturali si sviluppano forme politiche diverse da quelle europee. La frazione di classe borghese della rendita condiziona la politica di questi paesi. In Libia prima delle primavere arabe, c’era il più alto tenore di vita di tutto il nord africa. Gheddafi infatti distribuiva la rendita a tutte le tribù e faceva arrivare i proletari dalle altre parti dell’Africa, dalla Cina... mentre i libici stavano abbastanza bene. In Venezuela analogamente hanno utilizzato la rendita per avere il consenso sociale. A perderci è stata la frazione industriale forse anche la commerciale. Ora in Venezuela è forte la presenza della Cina, che ha intimato all’ONU di non intervenire. Se la Cina facesse arrivare anche aiuti economici, è possibile che Maduro possa durare ancora un po’.
Gli Usa sono quelli che hanno beneficiato del petrolio venezuelano a basso prezzo. Ora lo comprano a prezzi di mercato. È in atto una tendenza al calo del prezzo del petrolio da quando l’Opec ha alzato il prezzo del petrolio 1973. Da allora si è cominciato ad estrarre il petrolio nel mare del nord e non solo. Ora l’America fa l’estrazione orizzontale [1]e anche se l‘investimento ha costi ancora alti e rende, per ora, meno di altri investimenti. Una volta che sono aperti i pozzi non si chiudono più, comunque la produzione va avanti. Il solo fatto che questi pozzi esistono impedisce agli altri di alzare il prezzo. Quindi la tendenza è all’abbassamento del prezzo. L’investimento fatto renderà meno ma renderà sempre.
19] Nella prima metà degli anni ’80, si è riusciti per la prima volta a realizzare un pozzo di petrolio in orizzontale: un passo in avanti notevole per tutto il settore, che ha permesso di moltiplicare la produttività di un campo petrolifero anche di dieci volte, rispetto allo scavo di un pozzo verticale. Tra il 1980 e il 1982 si sono scavati dei pozzi pilota a Lacq e al largo delle coste abruzzesi; da allora, i pozzi di petrolio orizzontali sono diventati indispensabili nella maggior parte dei progetti di sviluppo petrolifero. Scavare un pozzo petrolifero orizzontale non è cosa da poco. Analizzando la questione da un mero punto di vista economico, ad esempio, si scopre che i costi sono superiori anche di due o tre volte rispetto a un pozzo verticale o deviato. Una spesa che potrà essere riassorbita con il tempo, dal momento che questa tecnica consente di scavare un numero minore di pozzi, dotati però di una maggiore produttività ed efficienza. Un pozzo petrolifero orizzontale ha, dunque, effetti positivi sui costi globali di sviluppo del campo petrolifero e assicura un minor impatto ambientale. Un pozzo orizzontale consente di ottenere portate di produzione più elevate e minore differenza tra le pressioni di fondo pozzo e di testa, in fase di erogazione. Addirittura, nel caso di strati già svuotati con pozzi verticali, un successivo pozzo orizzontale può raggiungere, e drenare, anche le zone più marginali del campo, altrimenti non sfruttabili. Non sempre i giacimenti sono raggiungibili con facilità. Può capitare che si trovino sotto località abitate, laghi, fiumi, su terreni impervi. È logico immaginare come, grazie a un foro orizzontale, tutte queste difficoltà possano essere risolte.

Rispetto al cosa fare. In America Latina e nello stesso Venezuela ci sono dei gruppi comunisti che hanno una linea autonoma e che da sempre fanno chiarezza.
Cosa fare? Lottare, chiunque ci sia al governo, per far sì che ci sia l’assistenza sanitaria, che non ci sia più una mortalità infantile con le percentuali di prima, che ci sia l’assistenza alla maternità, agli anziani e così via. I bambini non devono tornare a mendicare per la strada o non avere più le medicine.
Questa è l’unica strada. Lottare per difendere i livelli di vita raggiunti, senza per questo difendere Maduro.
Un partito deve dire chi è Maduro, qual è il ruolo degli USA e della Cina, deve difendere le condizioni di vita, senza schierarsi con uno contro un altro.
Finché non ci sarà una rivoluzione socialista, e non potrà essere solo in Venezuela, il problema rimane come rimane il problema della devastazione ambientale.
Gli ambientalisti scoprono ora che il capitalismo sta devastando il mondo e consumando le riserve. Il dibattito dello sviluppo sostenibile è una questione che viene accennata nel marxismo. Politicamente, da un punto di vista della propaganda e dell’agitazione, queste questioni, che potrebbero diventare argomenti molto validi, dovrebbe essere denunciate con più chiarezza dai comunisti e non lasciate agli ambientalisti. Dante Lepore recentemente, in un articolo sulla questione ambientale, riprendendo Marx, scrive che la devastazione ambientale è un prodotto del capitalismo.
Maduro si comporta come tutti i capitalisti. Di fronte all’esaurirsi delle riserve petrolifera, per avere altra rendita, mette sotto controllo 25 % del territorio nazionale dove ci sono altre risorse. Qualche settimana fa i giornali riportavano la notizia che il Venezuela esporta in Turchia oro che, dopo averlo raffinato, lo ritorna sotto forma di lingotti d’oro. Gli Usa hanno intimato alla Turchia di sospendere quest’operazione con la motivazione di dover contrastare il governo di Maduro. Allo stesso modo, l’acquisto da parte della Turchia di missili russi non è ben visto dall’Europa e dalla Nato. Così come il fatto che l’Italia, ma anche l’Europa, comperi il G5, mezzo di comunicazione dei telefonini cinese, fa scricchiolare le vecchie alleanze. Abbastanza velocemente sta saltando tutto il sistema di alleanze internazionale.
Il popolo non difende ora Maduro come prima non difendeva Chávez. Vuole solo difendere le sue conquiste.
diversa.
Non c’è ora, ma neppure c’era prima, quella spinta rivoluzionaria del basso necessaria per una rivoluzione.
L’assistenzialismo è una strategia per mantenere il controllo.
La Fiat usa lo stesso sistema, elargendo i premi. Una volta gli aumenti si ottenevano con i contratti ora non è più possibile. Ora danno un utile legato a degli indici di raggiungimento. C’è anche un premio europeo legato a parametri europei. Gli operai si accontentano di queste briciole, ma in questi ultimi tempi vediamo una tendenza inversa. Ci sono stati scioperi a None, Volvera, Pomigliano. Si avverte una piccola presa di coscienza che fa ben sperare.

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