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CHI PAGA PER L'INIDONEITA'?

  • Edi Bruna
  • 16 mag 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Nel gergo burocratico-aziendalista vengono definiti “inidonei”. Ma cosa sono questi

lavoratori definiti inidonei e,soprattutto chi sono? Al di là di numeri,tabelle,protocolli

ci sono donne e uomini in carne e ossa con i loro volti, i loro corpi, le loro esigenze, i

loro progetti, le loro famiglie. Donne e uomini ai quali le ridotte capacità lavorative,

naturalmente ridotte secondo i criteri di un produttivismo rapace e crudele, vengono rinfacciate quasi fossero uno stigma collettivo, una colpa irredimibile nell'ottica del toyotismo cui si sono convertiti i nostri zelanti epigoni aziendal-sindacali.

Donne e uomini che oggi sono costretti a umilianti caroselli costituiti da trasferimenti, corsi di formazione, riqualificazione, ricollocamento in postazioni di lavoro dove viene loro fatta pesare sia dal punto di vista dell'assegnamento delle mansioni, sia sotto l'aspetto psicologico la ridotta disponibilità di impiego.

Ma questa ridotta capacità di lavoro attuale da dove deriva? Cosa ha causato a questi operai un deterioramento irreversibile delle attività psico-motorie per cui sono entrati nel limbo delle diagnosi di quella branca della scienza medica che viene definita medicina del lavoro?

Dieci, venti, trent'anni a ripetere lo stesso gesto, a permanere nella stessa postura,

nell'essere colpiti dallo stesso inquinamento acustico, luminoso, ambientale.

Dieci, venti, trenta e più anni di attentati al benessere muscolo-scheletrico,

all'equilibrio psicologico, all'integrità fisica, all'armonia della condizione psicofisica

destrutturata irrimediabilmente da una attività lavorativa non solo alienante e

ripetitiva, ma anche in molti casi indifferente e gravemente inadempiente rispetto alla normativa sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. L'apparentemente asettica definizione di “logorio della forza lavoro” trova una triste e drammatica incarnazione in questi lavoratori, le cui persone per anni sono stata poste in balia di ritmi e procedure di ottimizzazione della produzione che se da un lato aumentavano il profitto per l'impresa, dall'altro minavano nel profondo la loro salute, in dispregio non solo di qualsiasi cura e preservazione delle così retoricamente e quando fa comodo definite “risorse umane”, ma anche di un diritto costituzionale, quello alla salute, anch'esso evocato solo quando non disturba le esigenze della produttività.

E' partendo proprio dalla difesa di questo diritto elementare che un gruppo di

lavoratori ha deciso di mettere in campo tutte le risorse legali che sarà possibile

mobilitare per mettere le istituzioni che la salute dovrebbero tutelare, Inail, Asl,

Ispettorato del lavoro, Ministero del lavoro, di fronte alle loro responsabilità prima di tutto per non essere intervenute in tempo ad evitare il disastro umano e sociale oggi definito “inidoneità”, poi per sollecitare queste stesse istituzioni a riparare almeno in parte, anche se pur sempre tardivamente, alla lunga disattenzione rispetto ai loro compiti e a far sì che l'azienda restituisca non ciò che non può restituire, cioè gli anni delle sofferenze passate, ma almeno un cospicuo indennizzo volto a lenire le sofferenze future.

Inutile dire che più si allargherà il numero di lavoratori che si aggregheranno a questa iniziativa più si avrà la forza di condurla a termine con successo, come inutile dire che per avere successo sarà necessaria una mobilitazione sul terreno della lotta in fabbrica come indispensabile catalizzatore di qualsivoglia azione legale che i lavoratori vogliano intraprendere.

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