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STORIA (ROMANA) CONTEMPORANEA

  • Domenico Di Lano
  • 10 apr 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Trascurando i particolari, la questione Isis, Siria, ecc. ricorda molto la guerra di

Giugurta del primo secolo a.C. In fondo per l'entità delle forze numide, per la

dimensione territoriale, per il quadro strategico, dal punto di vista della Roma

repubblicana poteva essere un problema marginale, una crisi di secondo piano ai bordi di una provincia controllata saldamente da più di mezzo secolo. Una questione che qualunque proconsole con senso del funzionariato avrebbe risolto nel giro di qualche mese (come accadeva un secolo prima).

Invece, vuoi per la crisi politica della tarda repubblica, vuoi per la rapacità parassitaria della classe dirigente romana, la faccenda durò parecchi anni con episodi di clamorosa corruzione, connivenza, collusione e altro.

La guerra giugurtina divenne così anche argomento di lotta politica e di propaganda

con assurde fobie indotte sul pericolo del risorgere di una nuova Cartagine. Negli

avvenimenti riguardanti l'Isis pare ritrovarsi molto di tutto questo anche perché

contemporaneamente ai fatti che hanno attirato l'attenzione del mondo intero su

questa guerra, in altre aree, in sordina, sono avvenuti conflitti che hanno causato

milioni di morti (per esempio in Congo, nella Repubblica Centrafricana, nel Bostwana, ecc.), conflitti che hanno visto coinvolti veri e propri eserciti mercenari al soldo di gruppi minerari occidentali (e cinesi?). Ritorniamo così al discorso della ridefinizione della carta imperialista del pianeta. Non sappiamo se qualcuno l'ha notato e non sappiamo nemmeno se vuol dire qualche cosa (ma pensiamo di sì) oggi assistiamo al fenomeno inverso a quello che nell' 800 vide subentrare gli eserciti nazionali a quelli delle compagnie (inglese, olandese, indie orientali, indie occidentali.....) in un momento in cui il capitale nazionale mobilitava senza mediazioni il suo comitato d'affari.

La riprivatizzazione della guerra in questo momento pare addirittura saltare la

mediazione politica della famosa definizione di Clausewitz. Oggi pare che la guerra sia direttamente la continuazione dell'economia con altri mezzi, un'economia che assume sempre più i caratteri del brigantaggio (come nella Roma tardo repubblicana).

Ricordando anche l' Angola di Agostino Neto che dopo l'indipendenza sperava di

diventare un paese con la stessa sovranità e la stessa dignità internazionale degli altri e che invece andò incontro a trent'anni di guerra cosiddetta “civile” scatenata dagli appetiti dei gruppi economici imperialisti i quali non tollerano una classe dirigente locale che metta in campo una sia pur moderata redistribuzione del reddito derivante dalle ricchezze del suolo e del sottosuolo ma vogliono spartirsi tutto lasciando soltanto una tangente alla cricca politico-militare di cui finanziano l'ascesa al potere.

Quindi pare non esserci molto di nuovo sotto il sole dal punto di vista strettamente

politico- militare nelle vicende del califfato se non le convulsioni causate dalle sacche di vuoto di cui sopra.

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